Intervista a

Empatia e ascolto come superpotere dell’HR Coaching: il modo per bilanciare bisogni di business e sviluppo delle persone, costruendo una cultura HR sostenibile.

September 1, 2025
3 min

Empatia e ascolto come superpotere dell’HR Coaching: il modo per bilanciare bisogni di business e sviluppo delle persone, costruendo una cultura HR sostenibile.

In questa intervista con Mirko Fabiani, HR Director di SYS-DAT e coach & mentor di Pack, esploriamo come ha integrato il coaching nella sua identità professionale di HR Leader. Dall’empatia e dall’ascolto come veri e propri superpoteri, fino al ruolo del coaching nel bilanciare business e persone, Mirko condivide i pilastri del suo approccio e la visione di una cultura HR più evoluta e sostenibile.

1. Cosa ti ha spinto a integrare il coaching nella tua identità professionale come HR Leader?

È stata un’evoluzione, da iniziale curiosità a successiva consapevolezza che il coaching mindset è la strada per seguire il proprio equilibrio in movimento. Se con il coaching possiamo supportare gli altri nel loro percorso, contestualmente, di sessione in sessione, acquisiamo nuovi elementi per essere più centrati e diventare la nostra versione migliore.

2. In che modo la tua esperienza HR arricchisce il tuo approccio come coach (e viceversa)?

L’HR è la funzione che deve assicurare il raggiungimento degli obiettivi dell’organizzazione, curando l’aspetto People. Il focus è quindi sul Business. Con il coaching il focus si sposta sulle persone e sul raggiungimento dei loro obiettivi all’interno dell’organizzazione. Questo consente un match perfetto tra i due mondi e un focus più ampio su People e Organizzazione. Non è semplice, ed è per questo che definisco l’HR Coaching un superpotere

3. Quali sono i pilastri del tuo stile di coaching?

Sicuramente empatia e ascolto. Quando inizio un percorso con un nuovo coachee cerco subito di creare empatia per consentire alla persona di sentirsi in un ambiente sicuro, dove potersi lasciare andare e lavorare in totale serenità. L’ascolto è lo step successivo, che fa percepire al coachee di non essere solo e mi consente di entrare nel flow per essere davvero al suo fianco durante il percorso.

4. Come si traduce, nella pratica quotidiana, il coaching all’interno di un’organizzazione?

Nel portare realmente i valori del coaching nei comportamenti di ogni giorno, con ogni persona dell’organizzazione. Essere empatici, saper ascoltare, non guidare ma restare al fianco delle persone supportandole e stimolandole con domande potenti. Creare ambienti sicuri dove le persone sanno di potersi lasciare andare ed esplorarsi quando necessario. Ma soprattutto, diffondendo il coaching mindset all’interno dell’organizzazione, affinché chiunque possa fungere da coach per chi ne ha bisogno.

5. Cosa osservi quando una persona è davvero “pronta” per un percorso di coaching?

Si dice che non tutti siano “coachable”. Io credo che il coaching possa essere per tutti, ma solo per chi è pronto ad iniziare un percorso di esplorazione interiore. Se non hai voglia di metterti in gioco, il coaching non serve. Ho fatto mia una massima di un collega: “il coaching utile non è facile, il coaching facile non è utile”. Se non sei pronto ad affrontare un percorso che potrebbe non essere facile, non è ancora il tuo coaching time.

6. Hai un esempio di svolta che ti ha lasciato il segno?

Ho avuto la fortuna di vivere diverse situazioni di cambiamento importante durante i percorsi con i miei coachee. Essendo percorsi di coaching professionale, sono stati momenti di svolta. Da chi ha raggiunto la consapevolezza di voler cambiare realtà lavorativa, a chi ha trovato il proprio centro realizzando il suo sogno professionale grazie a una nuova consapevolezza di sé e delle proprie capacità. Da coach è stato un momento di gioia vedere che il percorso fatto insieme ha portato i coachee dove volevano arrivare.

7. Hai un rituale, una domanda guida o una pratica che porti sempre nei tuoi percorsi?

In genere chiedo sempre a cosa è funzionale per il coachee il raggiungimento dell’obiettivo che porta in sessione. Può sembrare scontato, ma è molto utile: a volte durante la sessione il coachee si rende conto che non è quello il vero obiettivo. Questa consapevolezza genera serenità e libera la mente e l’anima per puntare a nuovi traguardi.

8. Che ruolo ha il coaching nella costruzione di una cultura HR evoluta e sostenibile?

Sempre più le organizzazioni diventano complesse, perché le persone lo sono. Sempre più l’HR ha bisogno di un superpotere: l’HR Coaching! Inserire e diffondere il coaching mindset consente di abilitare una cultura HR ad ampio spettro, capace di mantenere il focus sia sulle necessità di business che su quelle delle persone, garantendo sostenibilità nel tempo.

9. Se potessi cambiare una sola cosa nel modo in cui le aziende vivono oggi il coaching, quale sarebbe?

Credo che oggi il coaching sia ancora percepito più come uno strumento per chi deve “risolvere problemi” e non come un percorso per chi vuole liberare il proprio potenziale. Questo fa sì che nelle organizzazioni ci siano ancora molte persone in attesa di essere supportate per far fiorire i loro talenti.

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